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Una Politica Culturale per l’Unione Europea -Trasformare l’Europa attraverso la Cultura è possibile

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Creative economy
European Union
Una Politica Culturale per l’Unione Europea -Trasformare l’Europa attraverso la Cultura è possibile

La nuova coalizione formatasi tra Kaaczyński, Orban e Salvini si basa su una visione dell’Europa resa più forte dalla chiusura dei confini e dall’innalzamento di barriere. I tre leaders promuovono discorsi nazionalistici e sovranisti[1] contro un’Europa colpevole, a loro avviso, di ledere le identità nazionali. Se storicamente le politiche culturali sono servite come strumento per costruire lo Stato-Nazione, oggi permettono agli anti-europeisti di portare avanti battaglie contro un’Europa più umana, civile e accogliente nei confronti della diversità, della libertà di espressione, dello scambio culturale e dell’accettazione reciproca. Questi leaders autoritari esasperano e rafforzano visioni xenofobe e nazionalistiche che demoliscono il modello Europeo. Il loro operato mostra che senza cultura non è possibile costruire un’Europa rispettosa e democratica.

Quale modello di gestione culturale puo’ riuscire a promuovere i valori del progetto Europeo, che trova le sue radici nel concetto di democrazia, di libertà d’espressione e dello stato di diritto? Se i principi di tolleranza, empatia e accettazione della diversità sono alla base di un’Europa più unita, quale contributo possono apportare l’arte e la cultura per promuovere tali valori? Come dovrebbe essere costruita una politica culturale Europea che abbracci tali idee?

Ad oggi, le politiche culturali a livello Europeo si concretizzano essenzialmente in finanziamenti rivolti principalmente a network di organizzazioni culturali che supportano solo un numero limitato di progetti artistici – molto spesso noti all’interno di una cerchia ristretta ma sconosciuti dalla maggioranza dei cittadini – oppure a istituti di cultura (i più fortunati in tal senso sono il British Council e il Goethe Institute) per promuovere progetti nel campo della diplomazia culturale. L’ambizione di un’autonomia strategica per l’Unione Europea in ambito di poliche culturali necessita ancora di rafforzamento.

L’Unione Europea ha dimostrato una crescente capacità e indipendenza nell’adottorare iniziative rilevanti nel settore culturale. Vorrei sottolineare in particolare:

  • le Capitali Europee della Cultura (1985);
  • Europa Cinema Network che sostiene le produzioni cinematografiche indipendenti e ne promuove la distribuzione (1992);
  • la ratifica della Convenzione UNESCO sulla Diversità Culturale che permette a ciascun paese di supportare le proprie industrie culturali (2005);
  • la realizzaione del Guarantee Facility per stimolare gli investimenti nel settore culturale (2016).

Il budget annuale dell’Unione Europea destinato alla cultura (intorno ai 205 milioni di euro) equivale a meno di un quarto di quanto Netflix spenderà solo quest’anno in produzione televisiva e cinematografica Europea. L’attuale Commissario Europeo ha un portafoglio di competenze limitato (resta escluso l’audiovisivio) che di fatto indebolisce il suo profilo pubblico e peso politico. Allo stesso tempo, le amministrazioni che gestiscono ingenti programmi di finanziamento Europei e che curano le relazioni con le regioni e i paesi terzi sono sempre più consapevoli dell’importanza della cultura nello sviluppo economico e sociale. Ma con quale scopo? Promuovere la creazione di cammini culturali e conservazione del patrimonio con l’unico intento di incrementare il turismo ed eventi diplomatici di rappresentanza?

È importante che la visione di una politica culturale Europea del XXI secolo sia declinata in tutte le dimensioni e attività dell’Unione, in particolare negli ambiti delle relazioni esterne, delle politiche di sviluppo territoriale e dell’innovazione. Dobbiamo immaginare una nuova amministrazione della cultura che non solo riconosca l’impatto trasversale in altri settori ma anche la crescente importanza assunta dalle città nel ridefinire il peso degli investimenti pubblici nei processi di rigenerazione economica, sociale e urbana.

Quando si parla oggi di politiche culturali, non si dovrebbe fare riferimento unicamente a politiche legate alla gestione delle arti, alla promozione del patrimonio culturale all’estero, alla sopravvivenza (e resistenza) dell’arte all’odierna società dei consumi e alla inevitabile dipendenza dai finanziamenti pubblici e dal mecenatismo.

Affinché il nostro pianeta divenga una società civile regolata da sistemi di comprensione reciproca, è necessario che il processo politico persegua l’obiettivo della diversità culturale per favorire il dialogo e la maggiore comprensione tra culture diverse. Le politiche culturali sono più che mai uno strumento efficace per affrontare sfide globali (come ad esempio la sostenibilità), per costruire ponti tra il mondo delle imprese e la società civile, per innovare, acquisire conoscenze o generare dialoghi e collaborazioni interculturali, con il fine ultimo di porre condizioni di base in grado di migliorare la qualità della vita degli individui, facendo del mondo un posto pacifico e coeso.

Le politiche culturali hanno il compito di assicurare che le arti e le scienze umane siano presenti e prioritarie nel dibatitto corrente per definire i termini di una società futura più empatica, ricca di bellezza e immaginazione. Parlare di politiche culturali vuol dire considerare l’impatto delle biotecnologie e algoritmi informatici non solo all’interno del sistema produttivo di beni e servizi culturali ma anche nel processo di creazione e svilippo della società futura. Fare politica culturale è anche interessarsi a quello che succede nei laboratori per difendere i diritti dell’uomo.

Alla luce di questo, quali dovrebbero essere dunque le priorità dell’ Unione Europea?

  • Coinvolgere maggiormente le organizzazioni che credono e investono finanziariamente nel settore culturale: in particolare le città e il settore culturale e creativo, nonché i paesi terzi che intendono sviluppare i loro settori creativi in ​​un’economia postindustriale;
  • Adottorare strumenti efficaci per preservare e promuovere la diversità linguistica, i dialetti, le storie e le tradizioni come espressione dell’Europa al fine di proteggere e salvaguardare le identità e il patrimonio culturale immateriale;
  • Riconoscere l’importanza delle professioni culturali e perorare la loro causa in un modello Europeo che richiami talenti e investimenti, che sia creativo e basato su uno spirito di collaborazione, imprenditorialità e divertimento per promuovere integrazione, sostenibilità e coesione sociale;
  • Dare risposta a paesi terzi che domandano all’Europa competenze gestionali in materia di scambi culturali e di creatività, promuovendo allo stesso tempo la libertà d’espressione come base per uno sviluppo creativo sostenibile;
  • Formare artisti e operatori culturali per affrontare temi legati all’innovazione tecnologica secondo un approccio multidisciplinare (ad esempio per garantire che la ricerca sull’intelligenza artificiale rimanga fedele ai valori etici europei);
  • Creare un clima di consapevolezza che renda orgogliosi i cittadini europei del milieu culturale e creativo di ciascuno stato membro;
  • Incoraggiare e promuovere la mobilità nel mercato del lavoro culturale con una particolare attenzione all’innovazione e alle sinergie creative;
  • Mobilitare la rete diplomatica dell’ Unione Europea e le sue competenze culturali per sostenere le strategie di politica estera e le politiche di sviluppo per promuovere l’espressione della diversità culturale in tutto il mondo partendo dall’investimento sulle competenze locali.

 

Su un piano regolatorio, invece, l’Europa dovrebbe spingere i “giganti del web” a contribuire alla diversità culturale attraverso la riforma sul copyright e le leggi in materia di concorrenza. Il processo di standardizzazione per creare un mercato unico è visto come una minaccia alla diversità culturale e più mirato a promuovere l’egemonia di grandi multinazionali (un tempo Time Warner o Sky, oggi Disney, Google, Amazon, Apple e Netflix) contribunedo cosi all’estinzione di produttori e distributori locali di opere culturali incapaci di competere sul mercato.

 

Una civiltà sempre più globale e un mondo sempre più connesso si stanno rapidamente delineando davanti a noi. L’Europa deve rimanere un territorio capace di attrarre talenti, idee e investimenti. La politica culturale dell’ Unione Europea dovrebbe riflettere su questo aspetto e considerare gli investimenti culturali come portatori di progresso tanto quanto la tecnologia. Bisogna aspirare ad un’idea di Europa più aperta al mondo e creare alleanze tra diversi popoli ciascuno fiero dei proprio ideali e valori. L’agenda culturale dell’ Unione Europea dovrebbe mobilitare una generazione per cui la cultura sia digitale e globale.

 

Le elezioni europee si stanno avvicinando (Maggio 2019) e gli esiti saranno decisivi per il futuro dell’Europa. E’ tempo per l’Unione Europea di sfruttare al meglio i propri assets creativi attraverso iniziative locali e internazionali, creando una rete di collaborazione tra tutti gli stati membri[2] per lavorare ad un grande progetto comune. Vogliamo che quest’ultimo sia più di un mercato unico e solo un’insieme di interessi economici, finanziari e nazionalisti. Non vogliamo un’Europa di nazionalisti e xenofobi.

 

Philippe Kern

 


 

Fonti:

[1] Secondo l’articolo 167 del trattato di Lisbona, l’UE “contribuisce allo sviluppo delle culture degli Stati membri, nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, allo stesso valorizzandone il patrimonio comune”.

[2] V. Bono, in FAZ – 27.08.2018 ,”L’Europa è un pensiero che deve diventare un sentimento”.

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